Per la prima volta si è pronunciata la Corte con la sentenza 12 Marzo 2020, accogliendo e dichiarando all’unanimità i responsabili per le torture e violazione dei diritti a persona LGBT
Si tratta della sentenza del caso di A. R. M. La Corte ha ordinato al Governo peruviano il risarcimento dei danni, sia pur non quantificati, alla vittima, che fu arrestata nel 2008 e posta sotto custodia. In base alle motivazioni della polizia, la misura della messa in stato di custodia era stata adottata in conformità ai principi dell’ordinamento peruviano: era necessario procedere all’«identificazione della vittima» e inoltre si aggiungeva che l’intervento era finalizzato all’ottenimento di informazioni «per un fatto punibile».
In Perù, i gruppi per i diritti umani hanno fatto ricorso alla Corte Interamericana: in quanto organo giudiziario con giurisdizione sui ventitré Stati latinoamericani che hanno ratificato la Convenzione americana per i diritti umani del 1969, essa giudica i casi di violazioni di diritti umani in America Latina e può ordinare ai Governi di indagare sui crimini e di risarcire le vittime.1
Il Collegio ha accertato la violazione dei diritti di libertà, integrità personale, nonché il compimento di atti di tortura e di umiliazione; tali violazioni discendono dalla detenzione arbitraria della vittima, basata su una decisione discriminatoria dell’autorità, per il solo fatto che si trattava di una persona LGBT.
Nel verdetto della Corte si è accertata l’infondatezza di molte accuse formulate da parte delle autorità peruviane per coprire le violazioni dei diritti di A. R. M, dopo che la Corte Costituzionale peruviana aveva dichiarato nulli i ricorsi presentati dalla vittima.
La Corte Interamericana dei diritti umani accoglie il ricorso di denegata giustizia, accertando e dichiarando la «violazione della libertà personale» della vittima, detenuta arbitrariamente e privata della libertà. La Corte ha inoltre accertato che, durante il periodo di detenzione, la persona subì un trattamento discriminatorio a causa del suo orientamento sessuale. La seconda accusa riguarda la violazione del diritto all’integrità personale, alla vita privata e a non essere sottoposta a torture: La Corte ha accertato che la vittima fu denudata forzatamente, violentata, picchiata e sottoposta a commenti di tipo dispregiativo da parte degli agenti di polizia, «costituendo questi fatti atti di tortura». Inoltre, la Corte ha accertato la violazione dei diritti e delle garanzie processuali da parte delle autorità peruviane competenti, le quali non agirono con la dovuta diligenza ai fini dell’accertamento di atti di tortura a carattere sessuale.
«Il riconoscimento della successione ereditaria a una coppia LGBT in Perù».
Il Governo peruviano, in considerazione del contagio da Covid-19 e della conseguente morte di molte persone, prende una decisione esemplare. Il ministero della giustizia del Perù, ha «riconosciuto in parte i diritti non riconosciuti dalla attuale legge» alle persone LGBT che lavorano nei centri di salute (ospedali-policlinici ecc.), morte per Covid-192. Ovverosia, il ministero della giustizia e dei diritti umani del Perù per la prima volta ha reso pubblico il comunicato in forma straordinaria, varando un «procedimento speciale» di riconoscimento ereditario per le persone LGBT, poiché in Perú i matrimoni tra persone LGBT non sono ancora riconosciuti, così come le unioni civili di convivenza.
Riconoscimento attiene ai diritti economici patrimoniali, all’eredità dei beni materiali e immateriali spettanti ai partner vedovi che lavorano nei centri sanitari e che abbiano contrato il Covid-19 durante il lavoro. Il riconoscimento di questi diritti è un atto di giustizia nei confronti di queste coppie: «Speriamo che in futuro si faccia realtà il riconoscimento dei diritti, ora negati, a tutti i cittadini senza distinzioni, e che questi siano in forma permanente e continuativa», hanno dichiarato le associazioni LGBT presenti nel territorio. Questo provvedimento, in parte è un passo avanti, ma si ha sempre a che fare con le continue discriminazioni, le separazioni tra i gruppi: il Paese non si è ancora evoluto, non supera gli stereotipi discriminatori a danno dei gruppi LGBT, che hanno il sacrosanto diritto di riconoscimento.
Uno studio ONU realizzato tra gli anni 2014-2019 ha messo in luce una drammatica verità: nei nove Paesi della vasta area di Sud- e Centro-America, le discriminazioni e i pregiudizi sono molto diffusi, arrivando in molti casi alle aggressioni, sparizioni, violenze, sottomissioni e allo sfruttamento. Nella classifica che elenca i Paesi caratterizzati da una maggiore discriminazione, la Colombia occupa il primo posto, seguita dal Messico, Honduras, Venezuela, Ecuador, Perù.