Il passato è ciò che rende il presente, e il passato resterà orribile per esattamente fino a quando noi ci rifiutiamo di valutare le nostre azioni onestamente
La storia ci racconta i fatti del confinamento e il passato di sofferenze, angosce, persecuzioni per molte popolazioni. Inizialmente alcuni uomini in passato furono sistemati con la schiavitù, appunto per questo continuò il dissenso da parte della maggioranza dei cittadini autoctoni nei confronti di alcune etnie, «venuti come schiavi». «Le dimostrazioni sulle separazioni e le ragioni di tali azioni furono i cartelli specifici usati per fare vedere dove potessero leggere, parlare, bere, riposare o mangiare. Nel caso degli Stati Uniti «i non bianchi» dovevano in ogni caso attendere che tutti i clienti bianchi venissero serviti prima di loro; le strutture segregate si estesero dalle scuole solo per i bianchi fino ai cimiteri riservati ai bianchi».1
L’odio non ha tempo, è adoperato da sempre verso alcune etnie di «turno», i sentimenti anti-cinesi hanno fatto storia, dal ’700, quando i coloni olandesi furono i primi a introdurre leggi contro le comunità cinesi nelle Indie Orientali. Significativi i fatti del 1740 in Batavia, dove ci fu una vera punizione contro di loro, uccidendo decine di migliaia di cinesi. Sentimento che si diffuse nel tempo, molti sono gli episodi di xenofobia perpetrata contro i cinesi. La corrente xenofoba rimane un fatto endemico per molto tempo, rinvia alla storia contemporanea. In Paesi come Australia e Stati Uniti d’America i report storici descrivono veri soprusi e «l’odio che avviene nelle grandi città dell’Occidente, dove interi quartieri oggetto dell’immigrazioni asiatica si trasformarono nelle cosiddette Chinatown».
Negli Stati Uniti, nell’XIX secolo, durante la corsa all’oro nella West Coast, alla richiesta di manodopera dei proprietari terrieri, le amministrazioni statali approvarono una massiccia immigrazione, che spinse migliaia di popolazioni cinesi a migrare verso la California e altri Stati, immigrazioni motivate dai bassi salari richiesti dagli operai cinesi, e alla loro incredibile resistenza ed efficienza nei lavori più umili e stancanti. Trasmigrazioni che produssero molteplice disoccupazione e scontento tra i lavoratori locali. Scontento che creo ostilità razziale verso i figli del “dragone”. Nel 1871, a Los Angeles, si diede via a una cospirazione formata da una folla inferocita di classi operai bianche e messicane che, irrompendo nella Chinatown locale, uccisero la maggior parte dei residenti.
Con l’intervento del Governo si emanarono varie regolamentazioni nel decennio 1870-1880 per proteggere i lavoratori e regolare l’immigrazione cinese per i vari problemi che aveva arrecato alle popolazioni bianche. La regolamentazione più importante fu il «Chinese Exclusion Act» del 1882, che penalizzava fortemente le condizioni lavorative degli immigrati, motivo per cui si radicarono i sentimenti d’odio e il sentimento antiamericano emerse dalle varie comunità immigrate. «Negli anni ’60 del Novecento, in Indonesia la comunità cinese era considerata dalle autorità come presunta simpatizzante maoista, scatenando vari stereotipi, segregazioni, eccessivi controlli e ostacoli alla comunità medesima».
Nella storia dell’umanità moltissime popolazioni sono state private delle loro libertà: segregate, classificate, oppresse e costrette a fuggire per la loro sopravvivenza da gruppi xenofobi che in alcuni Paesi esercitavano «il potere di dominazione». Altri gruppi discriminati, divisi dagli altri, sono stati condannati, sterminati, vittime di soprusi a causa della propria «omosessualità», considerati allora malati mentali; perseguitati, costretti ai lavori forzati, condannati a morte o deportati.
La testimonianza del cittadino austriaco Josef Kohout (Vienna, 1915 -1994), che nel 1972, utilizzando lo pseudonimo di Heinz Heger, pubblicò «Die Männer mit dem rosa Winkel» ha reso possibile conoscere l’infamia esercitata su di lui. L’ha fatta conoscere attraverso un libro pubblicato con lo pseudonimo di Josef Kohout, tradotto in varie lingue. In italiano il titolo è «Gli uomini con il triangolo rosa».2
L’olocausto degli omosessuali, nei campi di concentramento, «considerati traditori di genere», distinti con un triangolo rosa, ha fatto sì che venissero separati dagli altri per evitare il contatto con ogni altro prigioniero per il timore che potessero «sedurre gli altri», o che potessero essere confusi con gli altri. La loro condizione naturale fu considerata una malattia, motivo per cui furono avviati «alla rieducazione che avveniva con il lavoro»; vissero la loro prigionia in blocchi isolati, «discriminati dagli altri discriminati», dagli altri prigionieri e da alcuni considerati «asociali», marcati pertanto con il «triangolo nero» (1933-1945).
Gli emarginati erano considerati «razza infame», non naturale, ma sono stati martirizzati dalle molte sofferenze e privazioni compiute da altri esseri umani. Si! – sono stati altri uomini che avevano il potere su costoro a fare ciò, arrivando a eseguire lo sterminio di molte persone che non avevano alcuna colpa. Nel considerare il fatto storico perpetrato da persone con poteri nei confronti di alcuni gruppi, emerge che i molti allineati al «conformismo pubblico», pur accettando l’opinione della maggioranza e tenendo un comportamento coerente con le norme fissate dal gruppo al potere, spesso, intimamente, non accettavano tali azioni discriminatorie. Ma essendosi creato un rapporto di acquiescenza e di rassegnazione non c’era opposizione a dette azioni perpetrate dai gruppi che facevano dell’odio una ragione di vita.
Gli stereotipi e l’intolleranza nell’Europa dell’800, che all’epoca erano molto diffusi verso i migranti italiani, non hanno certo avuto una sorte migliore nella diffusione del sentimento improntato al razzismo e degli «stereotipi anti-italiani», che furono veri attacchi all’incolumità dei piemontesi e toscani che andavano a lavorare in «Camargue – Francia» alla fine dell’Ottocento e che non erano considerati con rispetto. Il clima era molto teso in Francia, gli approcci erano conflittuali, covava l’intolleranza e, per di più, stava sviluppandosi la «psicosi dell’invasione», ripetendosi che la manodopera italiana «toglie il pane dalla bocca» ai nativi. Fino al momento in cui, il 17 agosto del 1893, una folla inferocita minaccio e attaccò la comunità migrante italiana per «incutere paura» e per fare capire il dissenso nei suoi confronti: secondo le autorità francesi i morti furono dieci, secondo il New York Times cinquanta. Brutali i pestaggi di massa in quello che è stato un vero e proprio Pogrom, un massacro xenofobo per qualcuno addirittura “il peggiore della storia della Francia contemporanea”.3