Nello stato di guerra nel quale si trovò il Perù, suoi cittadini e le famiglie sono state un punto fermo, in difesa dell’amata patria. Diedero via a la comunità dei focolari di sussistenza contro la fame e i «Centri cittadini di raccolta fondi» per aiutare il governo nella difesa del paese che si trovava in inerente difficoltà economica» Lo scopo iniziale fu aiutare alle persone nel loro impegno straordinario, quella parte della popolazione che allora ci proteggevano, con i pochi mezzi che possedevano e ognuno d’accordo alle sue possibilità potevano apportare per una «causa comune»
Le sfide sociali, in ogni luogo e tempo, hanno interpellato persone e soprattutto donne di buona volontà ad attivarsi con immediatezza e abilità per rispondere ai problemi da risolvere. In una società dove si dovevano curare prontamente le lacerazioni dei cittadini che combattevano a «mani nude e con i denti» era soprattutto importante mettere in luce le potenzialità dei «singoli e della collettività». Lo scopo iniziale fu quello di aiutare le persone nel loro impegno straordinario per il bene di tutti, ossia del Paese, cioè aiutare quella parte della popolazione che allora ci proteggeva, con i pochi mezzi che aveva. Ognuno, in base alle sue possibilità, poteva operare per una «causa comune». Le donne peruviane di ogni parte del Paese in un primo momento consegnarono le proprie fedi per contribuire alla difesa del Paese. Altre donne, infatti, andavano in giro a curare le ferite materiali e spirituali dei caduti in battaglia, a confortare altre donne che persero i loro mariti nella lotta, così soprattutto attivando quel senso di solidarietà che penetra nelle strutture sociali, rinnovandole e generando speranza, fiducia, positività.
Le pioniere, un gruppo di donne della Regione di Tacna, diedero inizio all’attività dei «focolari». Nel corso del tempo si unirono ad esse molte altre persone di tutte le fedi politiche e condizioni sociali di tutto il Perú: persone che volevano contribuire alla “Causa”, cioè alla difesa della patria, sia da parte degli autoctoni che da parte degli «immigrati italiani», che già allora avevano scelto il Perù come seconda patria, così dando vita a una «comunità italiana molto attiva». Molte altre donne di Lima, con le poche risorse alimentari disponibili (in quell’epoca primeggiavano le patate), crearono una pietanza per sfamare le persone in difficoltà (i soldati).
Da quel momento in poi la creatività delle donne fu molto intensa, ideando e preparando varietà di pietanze con un prodotto che abbondava; ovvero le «patate», e così procedendo nell’impegno: «Per una giusta Causa», i cui proventi servivano per sostenere tutti i cittadini bisognosi. Dopodiché, e in base alla fantasia di chi preparava la pietanza, potevano essere aggiunti vari sapori: peperoncino giallo (aji amarillo) o rosso (rocoto). La pietanza prese il nome dalla sua finalità, cioè la «Causa», riempita con prodotti vegetariani e animali: cipolla, limone, avocado, gamberi, tonno, pollo; si diede vita ad una pietanza squisita, che oggi ha il nome di «Causa Limeña».
Oggi in Perù è molto richiesta dai turisti di tutto il mondo. Fu proprio l’apporto che diedero le donne di tutti gli strati sociali del Peru d’allora a convertirsi anche in spirito di unità, in tutti i suoi ambiti; questo spirito divenne allora una vera e autentica ‘pietanza sociale’, animando la società e inducendo le persone alla cooperazione e al rinnovamento delle strutture sociali, sfociando nel dar vita a un sodalizio sociale permanente per sconfiggere il nemico di sempre: «la fame».
«La colonia immigrata italiana a Tacna nel 1880-1900 costituiva la comunità Italiana più importante dopo quella di Lima. Comunità di origini liguri, godeva di una maggior coesione e organizzazione, fondando alcune importanti istituzioni. Gli italiani costituivano il gruppo più numeroso fra gli immigrati. Analogamente a quanto accadeva nel resto del Paese, la colonia italiana si manteneva grazie al continuo flusso di catene migratorie».1